Un metodo per interrogarsi

Laura Grignoli

Finchè non saremo arrivati a sopprimere le cause della disperazione umana, non avremo il diritto di provare a sopprimere i mezzi con cui l’uomo prova a liberarsi dalla disperazione.

(Artaud)

Ovvero Verità o Metodo? Così suggerisce Ricoeur richiamando con inversa congiunzione l’opera gadameriana (Verità e Metodo), nel senso che o si sceglie di raggiungere la verità o si sceglie di utilizzare il metodo scientifico. Come a dire che l’arte,sottraendosi alla scienza, persegue la ricerca della verità (l’arte) cui si accede senza il metodo tipico delle scienze (Gadamer).

Il problema sta tutto qui: riteniamo la psicoterapia un’arte oppure una scienza?

La mia riflessione parte proprio dal pensiero di Gadamer secondo cui il metodo è proprio della scienza e l’arte pertanto, sottraendosi ad ogni possibilità di verifica scientifica, oltre che inutile non può portarci alla verità. So di avventurarmi su un terreno franoso ma, occupandomi di arteterapia, mi sento maggiormente preoccupata di cercare ‘il mondo nell’uomo più che occuparmi dell’uomo nel mondo (Heidegger in Caputo,2001). Pertanto sia pure con i limiti che pone una semplice chiacchierata giornalistica, tenterò di analizzare come l’arte (mezzo del mio lavoro) conduca a una verità metodologica, intesa come correttezza del processo terapeutico finalizzato a porsi degli interrogativi più che a dare risposte. A dire il vero quello che voglio affermare non è né più né meno di ciò che già Parmenide ed Empedocle dicevano dei poeti: essi sono portavoce della verità. Alla faccia di Platone e Aristotile che li ritenevano bugiardi mistificatori. Ma sappiamo bene come dicessero in fondo la stessa cosa da punti di vista differenti.

Contrariamente alle mie abitudini , ho iniziato questo lavoro di riflessione a partire dal titolo, quasi a pretendere di ‘supervisionare’ con metodo un metodo (l’arteterapia) che mira a porsi degli interrogativi . Infatti, una cosa mi è chiara: se non ho un metodo per curare, per guarire, neanche per ringiovanire…ne ho uno per interrogare. Chi? Cosa?

Certo nessuno si interrogherebbe su ciò che sa. Per questo l’unica cosa che mi preme sapere è quel che non si vede, quel che non si dice, quello che non sappiamo di sapere.

Chi è l’interlocutore? Chi potrà rispondere su ciò che non si vede, non si sa, non si sa di avere?

L’inconscio, naturalmente. Non c’è dubbio che il suo linguaggio è quello del sogno o dell’arte.

L’arte come lo specchio ci racconta chi siamo, ci spinge a una magica tras-formazione interna, a dire sotto altra forma quel che si è. Con l’arte non facciamo altro che ri-creare noi stessi in una nuova forma. Trasformare allora è paradossalmente diventare ciò che si è. Nell’esperienza arteterapeutica il paziente crea dalle proprie mani (o da tutto il suo corpo) interi mondi a lui interni, inediti per lui, che deve solo estromettere e racchiudere in una forma (plastica, poetica, musicale, scenica…). Con Sartre (1940) posso affermare che l’atto immaginario è un atto magico, una sorta di incanto destinato a far apparire l’oggetto del desiderio come un possesso personale.L’energia dell’inconscio, simbolicamente associata all’elemento acqua, risulta essere fluida e sfuggente, per questo ha bisogno di una forma che la contenga per essere portata alla coscienza. L’angoscia dell’ignoto e dell’indefinito viene a

sua volta colmata dando volto alle emozioni e pulsioni più profonde. La discesa nell’inconscio non è scevra da pericoli dato che c’è la possibilità che il paziente ,anziché ritrovarsi, si perda nel magma indifferenziato dell’inconscietà. Per questo nel mito greco Teseo quando si avventura nel labirinto di Dedalo a Creta per uccidere il Minotauro (simbolo dell’ego e di tutta la sua carica distruttiva), mantiene il contatto con l’esterno grazie al filo che Arianna gli ha donato previdente. E’ noto che nel processo creativo avvenga uno scambio tra due forze contrastanti: una che tende a fondersi nell’indifferenziato e una che tende a separarsi. Da una parte il paziente entra nell’opera, vi si identifica immergendo in essa il proprio essere, dall’altra crea una forma autonoma che si distacca da sé e tende all’individuazione, entrando a far parte del reale. Il binomio fusione-separazione è un momento fondamentale per la crescita psichica. Questo processo può rendersi manifesto attraverso la naturale attività simbolizzatrice della psiche.

Mi rendo conto che se il lettore non conosce l’arteterapia non può comprendere come sia possibile e perché far entrare l’arte in uno studio psicoterapeutico; anzi, potrebbe pensare ad un utilizzo dell’arte come ergoterapia o come supporto al verbale. Io non considero l’espressione artistica, qualunque sia la forma prescelta, una semplice ‘protesi’ dell’atto verbale. Il prodotto artistico non è nulla in terapia, se esula dal processo che lo realizza, se non tiene conto dell’immaginario, così come un sogno non potrebbe mai costituire un’opera d’arte se non per il processo sottostante dell’inconscio che lo ‘mette in scena’.

Quello che per prima cosa tengo a mente quando osservo quello che i pazienti tirano fuori e mettono in forma è quell’implicito fenomeno imperioso e infantile che tende a tener lontana la realtà e le sue difficoltà. Osservo l’immaginario rigettare i piani del reale ed eludere ogni determinazione temporale; vedo rompere i limiti della coscienza ed evocare immagini al di sopra dei meccanismi percettivi. Le immagini sono la modalità espressiva della mente per superare l’impasse del processo di realtà-percezione-conoscenza.

La materia dell’immaginario è l’affetto, attuale o ricordato, che viene combinato in una storia. Lo stimolo, interno o esterno, sollecita una situazione emotiva che si traduce in immagini. Queste assumono una connotazione che è orientativa delle capacità di chi le evoca: il musicista usa le note, lo scrittore e il poeta le parole e la metafora, il pittore le forme ed i colori, lo scultore la materia malleabile. Ovvero ogni persona sceglie un medium comunicativo per dar voce al proprio inconscio. Talvolta qualche paziente (per lo più i bambini) nella foga dell’entusiasmo tende spontaneamente a dire: ‘ho inventato…’, senza rendersi conto di dire la verità, dato che ‘invenio’ in fondo vuol dire ‘trovare’. L’arte diviene espressione simbolica dei sentimenti umani e consente di estrinsecare contenuti non-verbali presenti nella psiche che hanno un’origine più antica e profonda . La vita interiore che non può essere raggiunta dal pensiero discorsivo, può essere contattata (re-invenuta) dall’arte. Il paziente che cela l’opera non è cosciente ma il processo di trasformazione è terapeutico perché innesca una trans-forma-azione personale.

Quello che per me è al centro del processo terapeutico che costituisce quello che posso definire il mio ‘metodo’, ovvero la mia ‘via’, non è l’arte, ma il ‘laboratorio interiore’ che ciascuno allestisce dentro di sé quando inizia questo percorso. Io mi sento sollevata dal non dover ricorrere a quel linguaggio nosografico di stampo medicale ma di poter offrire semmai una

strumentazione linguistica alternativa con codici differenti , spesso più efficaci. Per questa ragione provo a parlare di G., 38 anni, definito ‘psicotico’ con sindrome maniaco-depressiva e paranoica. Imbottito di psicofarmaci, gli viene sconsigliato di accedere a un qualunque tipo di psicoterapia del profondo. Questa prescrizione lo fa approdare presso un collega comportamentista, che dopo tre mesi abbandona perché ‘ormai gli ho dettotutto’ mi riferisce. Quando arriva alla richiesta di una terapia diversa è completamente delirante. Ma l’arte cos’altro è se non autorizzazione a delirare? Delirio per delirio , almeno diamo ‘forma’ al delirio, penso. Dopo qualche incontro di conoscenza, produce le prime ‘tracce’. Sono disegni a penna su foglietti di carta . Sembrano disegni astratti. Da qualche parte di lui provengono cerco di spiegargli quando me li porge con sguardo esclamativo, come a meravigliarsi di quello che aveva fatto. Le associazioni sono ricche, ridondanti forse, ma appropriate al linguaggio degli affetti (‘ho paura di graffiare…Non riuscivo a fermare la penna…come quando penso…non riesco a fermarmi…). Inizia così la sua articol-azione emotiva. Arte ha la sua radice sanscrita are che vuol dire proprio ‘articolare’.

Poi sopraggiunge il suo incontro con la metafora quando aprirà enormi scatoloni da elettrodomestici per spargere colori a masse. Mi riempirà lo studio di queste produzioni ingombranti. Infine, dopo una parentesi letteraria fatta di racconti gialli, approda all’argilla, all’arte dello ‘levare’ diceva Leonardo. Cosa ha da ‘levare’? Tutto quel sovradimensionamento pronunciato dagli scatoloni, testimonianza dell’assenza di uno spazio intermedio necessario per ‘la respirazione psichica’. Il passaggio all’arte de ‘lo levare’ gli sta permettendo di prendere una nuova posizione soggettiva: va a togliere il troppo pieno…d’oggetto. Che questo episodio arrivi dopo la morte del padre svela la defaillance a livello simbolico. La troppa importanza data al padre reale sottolinea la carenza del padre simbolico, quello che non muore mai…La scultura arriva a spalleggiarlo, a rassicurarlo della sua posizione di soggetto, divenendo lui stesso attore della separazione dall’Oggetto.

La divagazione sul caso clinico vuol supportare la tesi che l’immagine non è un contenuto psichico inerte, ma essa è un certo tipo di coscienza, è un atto e non una cosa. Tirarla fuori è il metodo per interrogarsi sul suo significato affettivo profondo. Il mio metodo è assecondare la fuoriuscita e la conseguente inter-rogazione.

Bibliografia

  • Caputo A., Pensiero e affettività : Heidegger e le Stimmungen, F.Angeli, Mi, 2001
  • Gadamer H.G. Verità e metodo, Bompiani, Mi, 2001.
  • Parmenide Poema sulla natura, Rusconi,Mi, 1996.
  • Ricoeur P. Storia dell’ermeneutica,Bompiani,Mi, 1988.
  • SartreJ.P. (1940) L’imaginaire,Paris,Gallimard. Trad.it. L’immaginazione.Idee peruna teoria delleemozioni.Tascabili Bompiani, Mi, 2004.