Segreti e Segreti

Laura Grignoli

Lo dico a voi… ma che non lo sappia nessuno!

Quando penso al ‘segreto’ mi viene in mente qualcosa di scabroso e il senso di vergogna di chi in terapia ‘confessa’, non senza un senso di liberazione, ricordi rimossi.  Mi vengono in mente, però, anche quei piccoli innocenti segreti affidati all’amica del cuore durante i primi turbamenti adolescenziali, quando il bisogno incontenibile di dare un nome ad emozioni nuove, porta a inventarsi l’alter ego ‘ragionevole’, escludendo il resto del mondo ‘che non può capire’. L’idea che quel che proviamo sia esclusivamente nostro incoraggia il senso della segretezza.

Chiedo scusa al lettore se, lasciandomi andare a pensieri fluttuanti attorno al tema in oggetto, comincerò a vagare nei territori, non sempre adiacenti, abitati dai segreti. Ci sono segreti e segreti.

Ci sono segreti belli e utili. Ci sono segreti ‘mai detti a parole’ ma costantemente trasmessi in un silenzio tanto eloquente quanto assordante.

E, se cominciassi da qualche segreto confidatomi in terapia, violerei il ‘segreto professionale’?

Ahimè, noi siamo custodi dei segreti altrui e, spesso, anche di segreti che lo stesso affidatario non sa di custodire ma che ci espone in ogni minimo dettaglio, quando ci racconta coi suoi sogni le impressioni, quasi tipografiche, delle sue esperienze di vita. Come rughe sulla pelle.

Velia, neomamma, ha un comportamento assai bizzarro col suo bebè. Lo allatta al biberon e, mentre il piccolo ingurgita voracemente il latte, lei gli strappa di bocca la tettarella, ammonendolo: -Basta! Così soffochi! – Il piccolino prima stordito poi piagnucolante la induce a rimettergli in bocca il biberon. Fino al prossimo stop. La scena stop and go si ripete più volte, ad ogni poppata.

  • Ma credi davvero che con quel filo di latte che emette la tettarella potrebbe soffocare? -le dico.
  • Da piccola mia mamma era terrorizzata che io potessi soffocare. Mi rimboccava le coperte e mi diceva ‘Non ti coprire la testa se no soffochi! ’

Ecco come ereditiamo le proiezioni…Infatti, dopo qualche tempo Velia, sorpresa come quando pensiamo di assistere ad un miracolo, dice: – Ma lo sa che il mio bisnonno è morto soffocato? Nessuno me l’aveva mai detto, però! Questo è un segreto di famiglia, un tabù…L’ho scoperto da poco, per caso…notando che non solo io nella mia famiglia sono terrorizzata dai soffocamenti…–

Dobbiamo credere alle coincidenze o l’inconscio ‘traspira’?

Ci sono micro comportamenti che parlano all’inconscio di un bambino. A volte per generazioni.

Potrei fare un elenco lunghissimo di casi clinici a supporto di questa idea della ‘traspirazione’ dell’inconscio, ma mi preme spostarmi su un asse diverso, ovvero sulla ‘funzione’ del segreto, cosa che mi pare più importante dei contenuti.

Io sono una patita delle etimologie. Se vi annoio, prendetevela con la mia prof di latino delle medie, che per farci apprezzare la materia, che chiamavamo lingua ‘morta, ostica e inutile’, ci dimostrava che era viva e utilissima. E sapeva ben farlo.

La digressione etimologica serve a dimostrare che il segreto fa da setaccio della psiche. Lo capiamo appunto dalla sua etimologia. Il termine segreto viene del latino “secretus”, aggettivo e participio passato di “secerno”, che significa dividere, mettere da parte. Alla radice della parola “segreto” si trova dunque la parola latina “cerno” che significa passare al vaglio, così come quando si vuole separare il grano buono dal residuo ovvero dall’ “excrementum.”, il prefisso “ex”, mettendo l’accento sul rigetto, forma la parola “excerno” da dove viene il termine “escremento”.  La ritroviamo in biologia nella parola “escrezione” che riguarda le sostanze inutili o tossiche, ed in “secrezione” che riguarda delle sostanze nobili, utili. A partire da “cerno”, vediamo come passare al vaglio è utilizzare un setaccio i cui fori saranno gli elementi separatori. Questa nozione di separazione attraverso gli orifizi si ritrova nella cultura degli amerindi Hurons. Dispongono di una specie di ‘sensore’ di sogni, una sorta di setaccio a maglie larghe che, collocato all’ingresso della loro abitazione, ha la funzione di lasciar passare solamente i sogni buoni, mentre i cattivi, trattenuti dalle maglie, saranno bruciati dai primi raggi del sole affinché smettano definitivamente di turbare il riposo.  L’adeguamento tra gli orifizi permette di differenziare ciò che deve essere custodito da ciò che deve essere rigettato. Dalle maglie larghe passeranno le cose familiari che speriamo di conservare mentre nelle maglie strette verrà trattenuto ciò che deve essere eliminato. Sia che siamo nel campo del segreto costitutivo della personalità, o al contrario nel campo del segreto distruttore, ciò che conta non è tanto il contenuto del segreto quanto la capacità del setaccio a fare la scelta adatta.

Facile riconoscere in questa metafora come il segreto abbia a che fare con la problematica anale. Implica che il bambino abbia preso coscienza della presenza dentro di lui delle feci, che abbia sperimentato la capacità a custodirle o ad espellerle, in funzione dei suoi bisogni corporei ma anche abbia capito il senso che esse assumono nella relazione alla mamma. Insomma, ci si trova sempre di fronte ad una scelta tra il conservare e l’espellere. In questo affare, la composizione delle feci, le loro qualità fisiche sono ininfluenti. Stessa cosa accade per i segreti: ciò che conta non è tanto il contenuto del segreto ma la capacità di farlo passare al vaglio del proprio potere di decisione.

La semantica (non solo l’etimologia) ci viene incontro nel capire che la parola “segreto” è un sapere che abbiamo e che viene nascosto ad altri, in una relazione organizzata intorno al rifiuto di comunicare ciò che sappiamo. In altri termini, affinché ci sia segreto occorre che ci sia un altro, supposto interessato. Il detentore del segreto potrebbe confidarlo, ma non lo fa.   A seconda che il contenuto del segreto è piacevole, costruttivo o meno, la sua ritenzione è sorgente di piacere o di angoscia. Abbiamo visto che la detenzione del segreto permette al bambino di sviluppare la sua capacità a pensare e di provare il piacere di giocare con gli oggetti mentali che possiede. Nel campo dei segreti ‘vergognosi’, come le filiazioni inconfessate, gli errori commessi e certamente gli abusi sessuali, la conservazione può trascinare invece veri e propri stati di agitazione nelle relazioni con gli altri. Questa chiusura nei confronti dell’uscita dal corpo di ciò che contiene, corpo fisico attraverso le feci, psichico attraverso i segreti, è un modo di esercitare il potere di opporsi all’intrusione dell’altro e dei suoi desideri.

Il segreto vale anche come legame. Detenere un segreto è un atto di separazione, di padronanza che instaura un modo di essere. Ma, affinché questa padronanza sia autentica, deve essere convalidata. Che stiamo trattenendo un segreto l’altro deve saperlo.

Ma se ho un segreto come faccio a far sapere che ce l’ho e non voglio dirlo? O meglio, vorrei poterlo dire ma senza violare il codice della segretezza…

Ci sono parecchi modi di arrivarci senza tradire il nostro statuto di abili e onesti detentori del segreto, senza passare per spioni. Siamo nell’ordine della secrezione: mandiamo segni ad un interlocutore che il segreto esiste, senza rivelarne il contenuto, in modo casuale ed inconsapevole.

Una bambina, affidata ad una famiglia, ha manifestato il suo malessere interiore attraverso una continua agitazione e il sopraggiungere di vere e proprie turbe del comportamento, modi di fare apparentemente destinati alla madre adottiva. E’ servita la perspicacia di quest’ultima affinché la bambina le facesse conoscere gli abusi che suo padre gli infliggeva.

Il secondo modo di consegnare il segreto è di comunicarlo ad un depositario, attraverso un passo evidentemente volontario. Questa decisione segue generalmente una modificazione sopraggiunta nell’omeostasi interiore che il segreto contribuiva a mantenere. Sarebbe interessante conoscere l’evento che ha perturbato l’equilibrio spingendo alla rivelazione. La separazione assoluta che ha presieduto alla costituzione del segreto viene, perciò, spostata: il detentore si avvicina al depositario prescelto, ma opera così una separazione tra loro due e tutti gli altri che ignorano la transazione. Il depositario è scelto generalmente in funzione del ruolo che occupa o della sua funzione sociale. E’ il caso di noi psicoterapeuti.

Quanto può distruggere (o quanto può far crescere) l’avere un segreto? Quando e perché iniziamo a tenere i segreti? Ripercorrerei la genesi…

Una persona non ha il senso del “sé” fino a quando non ha un segreto. Non vorrei essere fraintesa. Non faccio l’elogio del segreto ma ci sono momenti nella vita di ognuno di noi in cui sentiamo di aver perduto la nostra identità per uniformarci al nostro gruppo sociale, all’ambiente di lavoro o al partner, in un rapporto fusionale. Coltivare qualche pensiero o qualche attività segreti, lasciarsi andare a qualche sotterfugio, ci dà la possibilità di riaffermare la nostra identità, di separarla da tutto il resto.

Il lavoro psichico in segreto è il mezzo e la prova di un’esistenza autonoma. Acquistando la capacità a pensare e a custodire i propri pensieri, il bambino fa una scoperta fondamentale per la sua evoluzione e sorgente in sé di piacere perché impara sempre più a giocare col suo pensiero come un oggetto in un gioco dove nessun altro oltre lui stesso fissa le regole.  Ma per lo stesso motivo, è introdotto nel campo del dubbio. Perché se l’onnipotenza dell’inizio della sua vita è sparita, ha lasciato posto ad un’incertezza in quanto alla perfetta comunione con altrui. Scoprendo il piacere di pensare e quello di conservare o no a propria scelta alcuni pensieri, scopre che ha un altro potere che è nel registro del linguaggio: quello di opporsi alla forza intrusiva del desiderio materno. Il bambino, sperimentando la sua capacità di conservare delle idee, conquista una capacità a dire ciò che vuole, il vero come il falso, un’idea al posto di un’altra che vuole nascondere. Saprà così, ed il fenomeno è decisivo per il resto della vita, che l’onnipotenza genitoriale ha i suoi limiti proprio perché non può entrare nel suo mondo psichico.

E’ necessario che il pensare segretamente possa essere un’attività autorizzata, rispettata. Questi segreti nascosti ai genitori aprono al bambino la porta verso una rappresentazione delle relazioni agli altri, fuori dalle relazioni di filiazione. Per inseguire il suo bisogno di sapere, il bambino elabora allora delle fantasie che allenano la sua capacità a pensare e gli permettono di perseguire la sua evoluzione.

Secondo la sua crescita, è portato a vivere molteplici esperienze, nei campi più svariati come la motricità, lo scambio relazionale, lo sviluppo dei sensi. Ogni presa di coscienza è interiore, è ignorata dall’ambiente circostante e non conosceremmo mai e in nessuno modo quanto ci colpisce e sperimentiamo, se non attraverso il lavoro psichico che avviene dentro ciascuno di noi. La capacità di fare tutto questo lavoro psichico in segreto appare come il mezzo e la prova di un’esistenza autonoma. Quando l’adattamento è così inadeguato che il corpo del bambino non può diventare un luogo di percezioni validate negli scambi relazionali, non può esserci per lui possibilità di prendere coscienza del  corpo  e del suo contenuto ed ancor  meno di poter  esercitare una scelta tra dire o no  ciò che sa di sé, perché ogni manifestazione da parte sua rischia di essergli restituita  come non avvenuta, il tenere segreto per sé delle cose porta il bambino, e l’adulto che diventerà, a quella che gergalmente chiamiamo  fantasmatizzazione diurna, ovvero all’attività del pensare.  Tra i primi pensieri che un bambino custodisce dentro senza rivelare a nessuno c’è quello sull’origine della sua vita. Immagina come è nato da mamma e papà. Non è raro che, specie per i bimbi adottati, su questo tema gli vengano dette delle menzogne. Tuttavia lui capisce dalle risposte che gli vengono date che spesso contengono segreti. È impossibile difatti che i genitori possano dire ciò che ignorano loro stessi su certi argomenti, inoltre gli comunicano ciò che sanno ma non certo ciò che appartiene alla loro intimità affettiva e sessuale. Questo segreto della relazione parentale richiama la curiosità del bambino, lo porta ad elaborare un pensiero che vive nel segreto della sua intimità, come la relazione resta nel silenzio custodito dai genitori. Il bambino che piange dal sonno e riceve regolarmente in risposta un biberon non può sapere niente del suo sonno né della sua fame, se non la confusione. Questo è solamente un esempio tra le molteplici vicissitudini alle quali i bambini sono esposti. Non parlerò dei fallimenti che caratterizzano le madri sufficientemente buone secondo Winnicott, ma delle inadeguatezze patologiche di madri troppo occupate dalle proprie difficoltà per lasciare al bambino l’uso del suo spazio psichico. E’ necessario che il pensare segretamente possa essere un’attività autorizzata, rispettata, anche se non conosciuta dalla madre. Questi segreti dei genitori aprono al bambino la porta verso una rappresentazione delle relazioni agli altri, fuori dalle relazioni di filiazione.

Nel campo degli abusi sessuali, il segreto è invece deleterio. Sempre più spesso i bambini confidano il loro fardello ad un depositario a cui chiedono di non dirlo agli altri. Ho notato, lavorando nella scuola, che abbastanza spesso in caso di abusi sessuali, le confidenze erano fatte a tutti, a chiunque mostrasse attenzione e promettesse di mantenere il segreto. Credo avvenisse perché la detenzione di segreti, se non è corredata da un’evacuazione regolare, provoca una tensione tale che un immediato sollievo, qualunque sia il modo scelto per averlo, è indispensabile. I segreti cercano una via di uscita, in mancanza della quale il detentore è esposto all’intossicazione. Occorre dunque che i segreti manifestino la loro esistenza attraverso differenti segnali che non sono necessariamente una comunicazione verbale o una rivelazione del loro contenuto. Il flusso tra fabbricazione ed estrinsecazioni deve essere continuo.

Abbiamo visto che ci sono segreti e segreti: quelli che in qualche modo aiutano la costruzione del sé, e quelli più complessi, come una vera e propria doppia vita, che spesso pesano come un macigno sulla coscienza e si trasformano in ansie continue. I più diffusi, ovviamente, sono quelli legati alla vita amorosa. Le ragioni che spingono in questo caso a conservare un segreto sono in effetti dolorosi. Quasi sempre. Ci sono cose di cui ci si vergogna, di cui ci si sente colpevoli, che si dissimulano per preservare la propria immagine agli occhi degli altri.

Ci sono segreti che nascondiamo, credendo di far bene, per paura di ferire gli altri. Spesso per proteggere qualcuno. Una logica questa che ci incunea in un dilemma inestricabile.

-Devo parlare? E se poi gli faccio male?

Tenere il silenzio serve a proteggere una persona cara o a ingannare la sua fiducia?

Poi ci sono i cattivi segreti, quelli che mettono in pericolo chi li custodisce e quelli che ne sono esclusi. Sono segreti ‘tossici’. Ne fanno parte quei segreti di famiglia che innescano le patologie di tutto il sistema familiare. Prendiamo ad esempio, un suicidio mascherato da incidente, un adulterio. Sapere e trattenere segreti simili non giova certamente alla mente.

La psicoanalisi ha molto trattato il tema del segreto…basti pensare all’inconscio che è un vero e proprio segreto verso se stessi. E, anche quando si approda ad una analisi per svelarsi i propri segreti, lo facciamo a rilascio lento. Molto molto lento.